Cosa guida il vostro lavoro?
Ascoltare la musica che amiamo. Se nessun altro la produce, la creiamo noi stessi. Abbiamo sempre fatto così. Negli anni ‘80 abbiamo registrato Psychocandy per lo stesso motivo. Oggi pubblichiamo Glasgow Eyes perché non c’è nessuno che suoni questo tipo di musica.
Eppure oggi molti gruppi suonano come voi.
E questo in realtà è strano, perché io amo la musica, ma non mi piace granché di quello che sento. Questo mi riporta a quello che dicevo: se non vi piace quello che sentite, fate la vostra musica.
Negli anni ‘80 hai detto che facevi musica per educare la gente. Cosa intendevi dire?
Probabilmente intendevo dire che non è necessario imparare a suonare la chitarra o qualsiasi altro strumento per venticinque anni per essere capace di produrre dei suoni. La tecnica non è importante per noi. È una cosa che blocca molte persone, che impedisce loro di immergersi nella musica. A volte non saper suonare è meglio che saper suonare. Perché se non sei un virtuoso, puoi usare di più la tua immaginazione. Non lo si fa altrettanto quando si ripassano le lezioni di chitarra o di pianoforte. Negli anni ‘80 ascoltavamo un sacco di band tedesche dai nomi impronunciabili come gli Einstürzende Neubauten. Usavano martelli pneumatici, smerigliatrici angolari, rompevano vetri... A me sembrava vero punk. Bisogna arrangiarsi con quello che si ha, anche se significa scegliere la via più semplice.
Dove pensi che risieda l’essenza della musica?
La cosa più importante è lo stato d’animo. Quello che c’è nelle tue viscere. Il punk è stato tutto questo. Ci sono persone come Eric Clapton e poi ci sono i Ramones. Io so qual è la mia preferenza. Se vuoi imparare una canzone dei Ramones, puoi farlo. In un solo giorno sono passato dal non saper suonare uno strumento a riuscire a suonare una canzone dei Ramones. È così che dovrebbe essere, sempre.
Dove sono i punk oggi?
Mia figlia ha vent’anni e ascolta drum’n’bass... Io non sono un grande fan di quel genere, ma lei l’ascolta spesso quando siamo in macchina. E ha un’attitudine punk. È musica fatta da persone sul computer. È spontanea, si sente, anche se le grandi case discografiche non sembrano interessate. Quindi lo spirito punk è ancora presente. La musica è cambiata, ma fondamentalmente è ancora punk. Il punk esiste e resiste ancora, solo che non si chiama più allo stesso modo. E la gente lo fa per le stesse ragioni.
Il punk esiste e resiste ancora, solo che non si chiama più allo stesso modo.
Cosa ne penserebbe il Jim degli anni ‘80 dei Jesus And Mary Chain di oggi?
Penso che gli piacerebbero. Almeno la musica, perché l’idea di andare avanti fino a sessant’anni mi avrebbe turbato. Quando avevo 20 anni, l’idea di compiere 60 anni mi spaventava. Quindi sarebbe stato davvero difficile per me immaginare che saremmo stati ancora attivi a quell’età. E invece, siamo ancora qui! Ricordo che tutti criticavano gli Stones perché continuavano ad andare in tour, anche se avevano solo quarant’anni! Quindi ecco, siamo finalmente diventati tutti “vecchi signori” e continuiamo a fare musica. Continuerò a farlo finché non lo troverò inutile. A dire il vero, pensavo che continuare a fare questo tipo di musica a sessant’anni sarebbe stato poco dignitoso. Ma ho cambiato idea nel frattempo. Là fuori c’è un pubblico, tutto sta andando molto bene. E il nuovo album è bello, come gli altri.
Ho letto da qualche parte che hai detto che “Glasgow Eyes” è il vostro migliore album.
No, non credo che sia così. Come ho già detto, è bello come gli altri, ma non migliore. Mi sembra pazzesco, sono passati quasi quarant’anni da Psychocandy e mi riconosco ancora in quell’album. Invece, tra quarant’anni credo che ci saranno ancora persone che ascolteranno Glasgow Eyes. È un album che durerà, ne sono sicuro.
Certa musica non invecchia, altra sì. Ma perché?
Non c’è dubbio che certa musica stia invecchiando... Il rock’n’roll, per esempio, a mio avviso è finito. O meglio, sta facendo la fine del jazz. Si è ghettizzato, diventerà una musica di nicchia, ascoltata solo da un certo pubblico. Se fai musica come la fanno in tanti, cioè seguendo la tendenza, è destinata a invecchiare. Ma se la si fa per creare qualcosa di nuovo, se la musica sta in piedi da sola, si sfugge ai tempi. L’album che abbiamo appena pubblicato non ha nulla a che fare con il sound dominante. Non abbiamo mai cercato di far suonare l’album come un prodotto pubblicato nel 2023 o nel 2024. È un album che suona bene, punto e basta. Secondo me, avremmo potuto fare questo stesso disco vent’anni fa e, se saremo ancora vivi, potremmo rifarlo tra vent’anni. È un’opera d’arte che esiste a prescindere dal resto.
Quali domande ti poni sempre in studio?
“Ha senso quello che sto facendo?”
Quale domanda dovrebbe porsi ogni musicista?
“Farò ancora questa musica tra dieci anni?” Dovresti sempre pensare alla musica che crei in termini di futuro.
Quale domanda hai smesso di porti?
“È sufficientemente buono?”
Gli album The Eagles and the Beatles e Hey Lou Reid sono un tributo ai tuoi eroi. In questa cosmogonia musicale, dove collochi i Jesus And Mary Chain?
Per alcuni siamo uno dei classici. È inevitabile quando si dura un po’. Abbiamo iniziato nel 1984... Non voglio paragonarci ai grandi come i Beatles, ma se siamo ancora in giro è perché ci siamo fatti un nome.
Ti senti orgoglioso?
Sì, quando mi guardo indietro sono felice, ma d’altra parte, quando guardi alle registrazioni precedenti vorresti sempre cambiare qualcosa. Nel complesso, William (Reid) e io siamo molto orgogliosi di ciò che abbiamo realizzato in tutti questi anni. Onestamente, non è stato facile. Essere in una band, purtroppo, significa avere a che fare con i discografici... Quando abbiamo iniziato, pensavamo che tutto sarebbe stato molto più semplice. Ci siamo detti: registreremo qualcosa, lo porteremo a una casa discografica e tutti si rallegreranno e diranno: “Ben fatto! È un ottimo lavoro!” Quando abbiamo portato Psychocandy alla Warner, ci hanno detto: “Che c***o è questo? Fa pena, ma sono demo o cosa?”. E noi abbiamo detto: “No, è un album, ci abbiamo lavorato per mesi”. “Ok, perché non andate e vi impegnate a fare un vero disco, adesso?”. Ci siamo chiesti cosa diavolo stessimo facendo. A partire da quel momento, abbiamo capito cosa ci saremmo potuti aspettare dalla Warner. Fino alla fine, sono sempre stati determinati a cambiare quello che facevamo e chi eravamo. Hanno pubblicato i nostri album, ma ogni volta con riluttanza. Ci chiedevano sempre di tornare al tavolo da disegno e di tornare da loro con quello che chiamavano “un vero disco”. Non è mai stato facile. Ma gli album sono stati pubblicati così come li volevamo noi e ne siamo orgogliosi!
I vostri concerti di allora erano pura follia. Oggi sembra impensabile. Trovi che il mondo della musica ora sia più asettico?
Non lo riconosco più, ma non l’ho mai capito realmente... Non capisco come si possano creare nuove band oggi come abbiamo fatto noi negli anni ‘80. Credo che all’epoca ci si dovesse impegnare molto di più. Oggi la gente ha paura di essere ritenuta offensiva, si preoccupano di quello che fanno e dicono. Quando abbiamo iniziato, non ce ne fregava niente. L’unica preoccupazione era come ci sentivamo, se ci andava di fare qualcosa o meno. Se quello che decidevamo di fare, o di essere, faceva arrabbiare qualcuno, pazienza. Essere offensivi non è sempre una cosa negativa. Se tutti si rammolliscono, se nessuno “morde” più, da dove arriverà il punk? Se non possiamo più offendere nessuno, resterà solo la musica da sottofondo dei supermercati…
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