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Pierre-Laurent Aimard: “Schubert è un compositore dell’intimità”

Il pianista francese Pierre-Laurent Aimard racconta la sua relazione con Franz Schubert, a cui dedica il suo nuovo album pubblicato per Pentatone.

In occasione dell’uscita del suo album-recital per Pentatone, Schubert: Ländler, Pierre-Laurent Aimard ha accettato di rispondere alle nostre domande durante un’intervista telefonica. Abbiamo avuto il piacere di scoprire un uomo di grande cortesia, dall’elocuzione precisa e da una ricca forma di pensiero. Per questo musicista, che avevamo visto realizzarsi nella scrittura contemporanea, è l’occasione giusta per tornare a parlare del suo rapporto con l’intimità, della sui visione del ruolo di interprete e del suo amore per l’insegnamento.

È la prima volta che consacra un album a Schubert. Quale slancio l’ha portata verso questo compositore?

L’idea mi era venuta durante la pandemia, quando siamo stati privati del palcoscenico, con rari contatti sociali. È stato quindi naturale per me di rivolgermi a questi tipi di musica non scenica, piuttosto intima e di piccola scala. La musica di Schubert è stata una di quelle che più mi hanno nutrito in quel momento.

Si era già avvicinato al repertorio romantico in album precedenti. Perché Schubert è arrivato così tardi nella sua discografia, già molto prolifica?

Innanzitutto, bisogna puntualizzare che Schubert non è esattamente romantico: si situa all’incrocio tra il classicismo e il romanticismo. Poi, la ragione è molto semplice: credo che quando si sale sul palcoscenico, di certo si obbedisce a delle necessità interiori, ma si cerca ugualmente di far in qualche modo qualcosa di utile, di rispondere agli interrogativi di coloro a cui ci si rivolge, ovvero il pubblico. Dal momento che sia il repertorio classico che quello romantico sono estremamente ben serviti in concerto, non è mai stata una priorità per me. Finora mi sono orientato, soprattutto per le registrazioni che fissano un po’ le cose, verso dei repertori a cui mi sembrava di apportare un contributo più costruttivo. Soprattutto nella musica contemporanea recente, molto meno diffusa.

Prima si riferiva al sentimento di intimità che scaturisce da questi brani. È un concetto che evoca anche nel libretto dell’album.

Schubert è un compositore dell’intimità. È un maestro del giardino segreto. Viviamo in una società estremamente esibizionista, dove il voyeurismo è ovunque, dove si comunica di continuo e la sfera privata è ridotta all’osso. Di conseguenza, era importante per me tornare a dei valori lontani da quelli del mondo dello show-business in cui viviamo.

Le opere presentate in quest’album sono sviluppate nel formato più breve, compatte, quasi frammentarie. Che sfida rappresenta per l’interprete dover lavorare su tali miniature?

Quella dell’immediatezza. Perché Schubert non è meno profondo o sottile che in altre opere, ma qui, in una trentina di secondi ci si tuffa nel cuore dell’essere umano e non si ha il tempo di lasciarsi trasportare dal pezzo. È necessario entrare subito in sintonia con il nocciolo dell’opera.

L’album contiene dei brani di Schubert adolescente, ma anche brani della sua maturità. C’è uno dei due periodi che lei preferisce?

Quel che mi interessa è la molteplicità ed è quello che ho cercato di rappresentare con questa scelta: a volte ci sono delle musiche quasi superficiali e in altri momenti delle musiche estremamente profonde. Brani in alcuni casi seducenti e in altri casi completamente spogli. Brani dall’umore molto leggero, altri dalla nostalgia struggente. E così via. Quello che mi interessa è lo Schubert in quanto umano, l’umano che rappresenta in tutta la sua molteplicità. Ho voluto giocare con la scelta e l’ordine dei brani perché ci potesse essere una sorta di percorso estremamente sfaccettato, in cui si possa saltare dal triviale al sublime, dall’interiorità al concreto, e così via.

Per questa registrazione, ha scelto un piano Steinway op. 353 018 che ha una storia molto particolare: si suppone sia stato suonato da Emil Gilels, Sviatoslav Richter e György Cziffra. Quale tocco e quali sonorità specifiche offre questo strumento?

Questa scelta è legata alla mia collaborazione di lunghissima data con Stefan Knüpfer, il tecnico di pianoforti rappresentato molto bene nel documentario Pianomania. Ho fatto molte delle mie registrazioni con lui, fin dall’inizio. Ogni volta ragioniamo sulle scelte giuste da fare, gli strumenti, le impostazioni, l’acustica, i luoghi di registrazione giusti, in modo che la configurazione generale corrisponda al repertorio scelto. Non importa il tocco dello strumento: quel che prevale è l’universo sonoro. In questo caso, però, è necessaria una gamma sonora che offra sufficiente sensibilità, capacità di canto, di parole, colori, per poter riflettere le diverse inflessioni dei sentimenti, e un calore sufficiente per poter rappresentare un repertorio così specifico. Questo è quello che abbiamo cercato di trovare insieme.

Giovanissimo, ha conosciuto grandi personalità della musica contemporanea come Olivier Messiaen o György Kurtag. In che misura questi incontri hanno influito sul suo percorso artistico all’inizio della sua formazione?

Non è stato solo all’inizio della mia formazione. Si è sempre trattato di uno stile di vita, quello che mi ero fissato perché ha dato un senso alla mia vita. Credo che la dimensione artistica possa nutrirci largamente se cerchiamo di avvicinarci il più possibile alla sua dimensione creativa. Essere costantemente in contatto con dei creatori è quello che mi ha sempre fatto respirare artisticamente. In effetti, è cominciato tutto in giovane età, dato che ho avuto il privilegio di incontrare Messiaen quando avevo 12 anni. Ma non ho mai smesso di rinnovare - anche se credo di essere sempre stato molto costante - e arricchire le mie scoperte con nuove forze creative di compositori che potevano illuminare la mia strada e ai quali sentivo di poter dare un mio personale contributo.

Ha presentato molte opere in anteprima mondiale. Come si affronta un esercizio del genere, quando non esiste nessun riferimento a cui attingere (o da cui distinguersi)?

Se un’opera è davvero innovativa, se reinterpreta i modi di pensare o ascoltare, non è possibile avere idee preconcette, bisogna immaginare come procedere. Per me, è questo l’aspetto più interessante e accattivante. E’ necessario sapersi adattare per poter comprendere e afferrare l’universo creativo di un compositore, apportando i propri punti di forza con la massima apertura mentale. Dobbiamo metterci in discussione ogni volta che lo facciamo e scoprire da soli la strada da percorrere, sarà l’opera stessa ad illuminare i nostri passi. È una sorta di lavoro da ambasciatore, o di interprete. Per me, la chiave giusta per un’interpretazione corretta è scegliere con attenzione le opere e le persone con cui lavorare, poi trovare il modo di convincerle condividendo le tue scoperte. È un modo di gestire la vita. È il modo in cui ho gestito la mia e continuo a farlo. È ciò che mi dà più entusiasmo. Ho appena eseguito la prima di un nuovo pezzo concertante per pianoforte e orchestra di Clara Iannotta: è stato disorientante proprio come avevo previsto, dai primi incontri fino alla creazione del brano stesso. Questa è l’essenza della vita: è imprevedibile, ci sorprende e ci costringe ad adattarci. E sicuramente sarà lo stesso il prossimo ottobre, quando eseguirò per la prima volta un’opera di Mark Andre per pianoforte ed elettronica. Credo riserverà ancora molte sorprese, ma è meglio così: è per questo che la vita è interessante.

Lei è tanto recitalista quanto solista. Il suo stato d’animo cambia a seconda delle configurazioni?

Per me non si tratta di attività differenti. Mi definisco musicista e fin dall’inizio ho voluto organizzare una vita che potesse avere tutte le sfaccettature necessarie a realizzare le varie dimensioni della pratica musicale. Quest’anno ad esempio, parteciperò a un progetto che si terrà a Berlino, in omaggio a Charles Ives per il 150° anniversario della sua nascita. Per questa occasione, si terranno un concerto con orchestra, un recital di piano e una serata di lieder con Anna Prohaska per cui ho le prove più tardi. Ma a mio avviso non si tratta di tre attività differenti: quello dell’accompagnatore, del recitalista e del solista con orchestra sono tutti strumenti che un musicista ha a disposizione per cercare di realizzarsi musicalmente. Non ho nemmeno l’impressione di fare un lavoro così diverso rispetto a quando insegno ai miei allievi. Sono tutti modi diversi per cercare di condurre un’esistenza ricca.

Parliamo dell’insegnamento: lei ha detenuto la cattedra di Creazione artistica al Collègue de France nel 2008-2009, insegna anche al CNSM di Parigi e alla Hochschule für Musik di Colonia. Che cosa trae dalle sue attività di insegnamento?

È una parte essenziale della vita. Percepire le trasformazioni permanenti del tempo su di noi, avere la possibilità di tramandare e confrontarsi con le altre generazioni interrogandoci su come lasciare un’eredità, è sempre molto interessante e ci aiuta a capire di che pasta siamo fatti. Per me è davvero meraviglioso vedere che ci sono persone che ho formato come, ad esempio, Lorenzo Soulès o Fabian Müller, che sono molto attivi sia nella musica contemporanea che nei repertori più antichi. Sono molto felice di vedere che ci sono persone con una mentalità aperta e colta da pensare a diversi stili e a diversi modi di posizionarsi nella società musicale. Inoltre, c’è il piacere di condividere concerti con loro, come con Lorenzo in Francia per il festival di Orléans, o con Fabian in Germania in diverse occasioni, come con altri miei ex allievi.

Per più di vent’anni, è stato l’interprete privilegiato di György Ligeti, di cui l’anno scorso è stato commemorato il centenario della nascita. Cosa ricorda degli anni di collaborazione con lui?

Ricordo lo stupore per la sua dimensione artistica e creativa, lo spirito indipendente, l’immaginazione sfrenata ma controllata! Un’immaginazione galoppante e allo stesso tempo mirabilmente ordinata nel suo operato. Ricordo anche lo straordinario privilegio di essere stato il pianista di fiducia di una persona così stimolante. E la piacevole responsabilità di trasmettere quanto sperimentato al suo fianco. Questo è ciò che sto cercando di fare attraverso il mio insegnamento, le mie esibizioni, il sito web interattivo che ho creato con il Klavier-Festival Ruhr e la futura edizione dei suoi Études, che sto preparando in collaborazione con il musicologo Tobias Bleek.